Recovery, Falcomatà: “necessario superare la spesa storica”

Anna Franchino

“Tutto quello che possiamo fare nel quadro delle opportunità derivanti dal Recovery Fund e da tutte le misure nazionali e comunitarie in programma, dipende molto da alcune battaglie che devono uscire dal contesto locale per diventare vere e proprie questioni nazionali. Perché prima di parlare di cosa vogliamo fare con queste risorse, dovremmo definire bene il perimetro delle regole del gioco ad oggi totalmente indefinito”. A dirlo il sindaco metropolitano di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà intervenendo ad una iniziativa pubblica promossa dal Touring Club Reggio Calabria in collaborazione con il Laboratorio Politico Sociale “Ventotene”. “Ed è anche inutile ripetere – prosegue – che serve il 60% delle risorse per il Sud se prima non conosciamo quali sono le regole. Ad oggi sappiamo che, al netto delle risorse che verranno impiegate, questo è uno Stato nel quale esistono delle leggi che praticano la discriminazione di cittadinanza. Pensiamo al criterio della spesa storica che stabilisce che a Reggio Calabria un bambino non ha le stesse opportunità di un bambino nato a Reggio Emilia. Quest’ultima ha circa 173mila abitanti e sessanta asili, Reggio Calabria circa 183mila abitanti e appena tre asili, peraltro realizzati con i fondi della coesione. Ma questo deve essere una questione in grado di animare il dibattito pubblico, ad ogni livello”. Nonostante ciò, ha proseguito Falcomatà, “la nostra città ha compiuto sforzi incredibili per garantire, attraverso i fondi Pon, i servizi per il welfare. Reggio Calabria investe 27 milioni all’anno per i servizi sociali. E sul bilancio ci sono zero risorse, nessuna erogazione annuale e ordinaria dello Stato. Bisogna passare dalla spesa storica ai Lep, livelli essenziali delle prestazioni, secondo cui ogni città deve avere delle erogazioni dallo Stato in base alle effettive esigenze. Finalmente, dopo anni, sembra che il governo voglia definire questi Lep almeno sul piano delle intenzioni, ma è compito nostro vigilare e alimentare tale dibattito. Inoltre c’è sempre un convitato di pietra quando si parla di Recovery Fund, ovvero il modo stesso in cui le risorse devono essere spese. In Italia, mediamente, un’opera pubblica di un milione di euro (e il 30% le fanno i Comuni), viene realizzata in cinque anni. Come pensiamo di spendere oltre 200 miliardi fino al 2026? Sicuramente non con questo codice degli appalti. Bisogna uscire dalla narrazione – conclude Falcomatà – secondo cui velocità è sinonimo di corruzione e infiltrazione mafiosa. Basti pensare al modello Genova, che dimostra come velocità, rispetto delle regole e impermeabilità agli interessi criminali, possano coesistere, garantendo efficienza e legalità”.

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