Il Tar boccia l’ordinanza Santelli

Anna Franchino

Il Tar di Catanzaro ha accolto il ricorso presentato dal Consiglio dei ministri tramite l’Avvocatura generale dello Stato contro l’ordinanza del presidente della Regione Calabria Jole Santelli, del 29 aprile scorso, che consentiva il servizio ai tavoli, se all’aperto, per bar, ristoranti ed agriturismo. E’ quanto si evince dopo l’udienza collegiale, tenuta in camera di consiglio, svoltasi stamani. Di seguito l’ordinanza.

Pubblicato il 09/05/2020 

  1. 00841/2020 REG.PROV.COLL. N. 00457/2020 REG.RIC. 

R E P U B B L I C A I T A L I A N A 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria 

(Sezione Prima) 

ha pronunciato la presente 

SENTENZA 

ex art. 60 c.p.a. 

sul ricorso numero di registro generale 457 del 2020, proposto da 

Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente in 

carica, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello 

Stato di Catanzaro, domiciliata presso gli uffici di questa, in 

Catanzaro, alla via G. da Fiore, n. 34; 

contro 

Regione Calabria, in persona del Presidente in carica, rappresentata 

e difesa dagli avvocati Andrea Di Porto, Massimiliano Manna, 

Oreste Morcavallo, con domicilio digitale come da PEC da 

Registri di Giustizia; 

nei confronti 

Ristorante di Pesce a Rende S.r.l. Semplificata, non costituita in 

giudizio; 

e con l’intervento di 

ad adiuvandum

Comune di Reggio di Calabria, in persona del Sindaco in carica, 

rappresentato e difeso dall’avvocato Emidio Morabito, con 

domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; 

ad opponendum

Comune di Amendolara, in persona del Sindaco in carica, 

rappresentato e difeso dagli avvocati Giancarlo Pompilio e Claudia 

Parise, con domicilio digitale come da PEC da Registri di 

Giustizia; 

Comune di Tropea, in persona del Sindaco in carica, rappresentato 

e difeso dagli avvocati Giovanni Spataro e Renato Rolli, con 

domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; 

CODACONS – Coordinamento delle Associazioni e dei Comitati 

di Tutela dell’Ambiente e dei Diritti degli Utenti e dei 

Consumatori, in persona del legale rappresentante pro tempore

rappresentato e difeso dagli avvocati Gino Giuliano, Carlo Rienzi, 

con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; 

Pasticceria Siciliana di Nicocia J.&C. S.n.c. in persona del legale 

rappresentante pro tempore, La Cambusa S.a.s. di Montalto Dino 

& C. in persona del legale rappresentante pro tempore, Francesco 

Covello, Carmelo Pirri, rappresentati e difesi dagli avvocati 

Fabrizio Criscuolo, Mauro Fortunato Magnelli, con domicilio 

digitale come da PEC da Registri di Giustizia; 

per l’annullamento 

dell’ordinanza del Presidente della Regione Calabria del 29 aprile 

2020, n. 37, recante «Ulteriori misure per la prevenzione e 

gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-2019. 

Ordinanza ai sensi dell’art. 32, comma 3, della legge 23 dicembre 

1978, n. 833 in materia di igiene e sanità pubblica: Disposizioni 

relative alle attività di ristorazione e somministrazione di alimenti 

e bevande, attività sportive e amatoriali individuali e agli 

spostamenti delle persone fisiche nel territorio regionale», in 

relazione al suo punto 6, nel quale è stato disposto che, a partire 

dalla data di adozione dell’ordinanza medesima, sul territorio della 

Regione Calabria, è «consentita la ripresa delle attività di Bar, 

Pasticcerie, Ristoranti, Pizzerie, Agriturismo con 

somministrazione esclusiva attraverso il servizio con tavoli 

all’aperto»

Visti il ricorso e i relativi allegati; 

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Calabria; 

Visti gli atti di intervento; 

Visti tutti gli atti della causa; 

Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2020 il 

dott. Francesco Tallaro e trattenuta la causa in decisione ai sensi 

dell’art. 84, comma 5 d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con mod con 

  1. 24 aprile 2020, n. 27; 

Rilevato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue. 

FATTO e DIRITTO 

I – L’iter processuale 

  1. – Oggetto dell’odierno giudizio è l’ordinanza del Presidente 

della Regione Calabria del 29 aprile 2020, n. 37. 

Con tale provvedimento, adottato ai sensi dell’art. 32, comma 3 l. 

23 dicembre 1978, n. 833, sono state dettate misure per la 

prevenzione e la gestione dell’emergenza epidemiologica da 

COVID-19. 

In particolare, si controverte della legittimità del punto n. 6, con il 

quale è stato disposto che, sin dalla data di adozione 

dell’ordinanza, è consentita, nel territorio della Regione Calabria, 

la ripresa dell’attività di ristorazione, non solo con consegna a 

domicilio e con asporto, ma anche mediante servizio al tavolo, 

purché all’aperto e nel rispetto di determinate precauzioni di 

carattere igienico sanitario. 

  1. – Ad impugnare l’ordinanza, chiedendone l’annullamento a 

questo Tribunale Amministrativo Regionale, è stata la Presidenza 

del Consiglio dei Ministri, con ricorso notificato a mezzo PEC e 

depositato il 4 maggio 2020. 

Ha resistito la Regione Calabria, la quale si è costituita nella 

medesima data. 

  1. – Unitamente al ricorso è stata proposta domanda cautelare di 

sospensione degli effetti dell’ordinanza, nella parte impugnata, 

accompagnata dalla richiesta di decreto cautelare monocratico ai 

sensi dell’art. 56 c.p.a. 

In data 5 maggio 2020 il Presidente di questo Tribunale 

Amministrativo Regionale ha sentito informalmente e 

separatamente le difese delle amministrazioni. 

Esse, nell’interesse generale della giustizia, avuto riguardo 

oltretutto alla delicatezza dei temi trattati in ricorso, che toccano i 

rapporti fra Stato e Regioni dal punto di vista dei rispettivi poteri di 

intervento nell’attuale drammatica fase epidemica in atto, hanno 

concordato sulla necessità di addivenire in tempi molto brevi a una 

decisione collegiale, eventualmente anche quale sentenza in forma 

semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a. 

Pertanto, l’Avvocatura dello Stato ha rinunciato all’istanza di tutela 

cautelare monocratica ai sensi dell’art. 56 c.p.a.; entrambe le parti 

hanno rinunciato ai termini a difesa di cui all’art. 55, comma 5 

c.p.a. 

  1. – È stata dunque fissata la camera di consiglio del 9 maggio 
  2. – Al giudizio hanno inteso intervenire anche altre 

amministrazioni. 

In particolare, in data 6 maggio 2020 si è costituito, ad 

adiuvandum, il Comune di Reggio Calabria; al contrario, si sono 

costituiti ad opponendum nella medesima data del 6 maggio 2020 

il Comune di Amendolara e nella successiva data del 7 maggio 

2020 il Comune di Tropea. 

In data 7 maggio 2020 si è costituito ad opponendum anche 

CODACONS – Coordinamento delle associazioni e dei comitati di 

tutela dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori. 

In data 8 maggio 2020 si sono costituiti, in pretesa applicazione 

dell’art. 28, comma 1 c.p.a., alcuni operatori del settore della 

ristorazione, meglio individuati nell’epigrafe della sentenza. 

In vista della decisione la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la 

Regione Calabria hanno depositato memorie ad ulteriore supporto 

delle argomentazioni difensive utilizzate. 

  1. – Il ricorso è stato trattato collegialmente in data 9 maggio 2020 

ai sensi dell’art. 84, comma 5 d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con 

mod con l. 24 aprile 2020, n. 27, e, ricorrendone i presupposti, è 

stato deciso nel merito ai sensi dell’art. 60 c.p.a. 

II – Le posizioni delle parti 

  1. – La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha dedotto 

l’illegittimità dell’ordinanza impugnata, nella parte di interesse, 

sotto tre diverse prospettive. 

7.1. – In primo luogo, essa violerebbe gli artt. 2, comma 1, e 3, 

comma 1 d.l. 25 marzo 2020, n. 19, e sarebbe stata emanata in 

carenza di potere per incompetenza assoluta. 

Infatti, l’art. 2, comma 1 dell’atto normativo citato attribuisce la 

competenza ad adottare le misure urgenti per evitare la diffusione 

del COVID-19 e le ulteriori misure di gestione dell’emergenza al 

Presidente del Consiglio dei ministri, che provvede con propri 

decreti previo adempimento degli oneri di consultazione 

specificati. 

Per quel che rileva, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha 

provveduto con d.P.C.M. del 26 aprile 2020 che, con efficacia dal 4 

maggio 2020 al 17 maggio 2020, dispone la sospensione delle 

attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, 

gelaterie, pasticcerie) e, in via di eccezione, consente la 

ristorazione con consegna a domicilio nel rispetto delle norme 

igienico-sanitarie sia per l’attività di confezionamento che di 

trasporto, nonché la ristorazione con asporto, fermo restando 

l’obbligo di rispettare la distanza di sicurezza interpersonale di 

almeno un metro, il divieto di consumare i prodotti all’interno dei 

locali e il divieto di sostare nelle immediate vicinanze degli stessi. 

Come visto, l’ordinanza regionale, in contrasto con quanto 

disposto dal d.P.C.M., ha autorizzato anche la ristorazione con 

servizio al tavolo. 

Ma tale intervento integrativo non sarebbe consentito dalla 

normativa applicabile, in quanto l’art. 3, comma 1 d.l. n. 19 del 

2020 prevede che le Regioni possano adottare misure di efficacia 

locale «nell’ambito delle attività di loro competenza e senza 

incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica 

per l’economia nazionale», ma tale potere è subordinato a tre 

condizioni, e cioè che si tratti di interventi destinati a operare nelle 

more dell’adozione di un nuovo d.P.C.M.; che si tratti di interventi 

giustificati da «situazioni sopravvenute di aggravamento del 

rischio sanitario» proprie della Regione interessata; che si tratti di 

misure «ulteriormente restrittive» delle attività sociali e produttive 

esercitabili nella regione. 

Né l’ordinanza impugnata potrebbe trovare fondamento nell’art. 

32, comma 3 l. n. 833 del 1978, e perché derogato dalla disciplina 

dettata dal d.l. n. 19 del 2020, e perché l’emergenza sanitaria ha 

carattere nazionale, e dunque impone l’intervento da parte del 

Governo centrale. 

7.2. – Con il secondo motivo di ricorso si deduce che l’ordinanza 

sarebbe priva di un’adeguata motivazione, non sarebbe stata 

supportata da una valida istruttoria, sarebbe illogica e irrazionale. 

In particolare, non emergerebbero condizioni peculiari che 

giustifichino, nel solo territorio della Regione Calabria, 

l’abbandono del principio di precauzione; non sarebbe stato 

adottato un valido metodo scientifico nella valutazione del rischio 

epidemiologico; si porrebbe a rischio la coerente gestione della 

crisi epidemiologica da parte del Governo. 

7.3. – Infine, l’ordinanza sarebbe viziata da eccesso di potere, 

evidenziato dalla violazione del principio di leale collaborazione. 

Invero, l’ordinanza sarebbe stata emessa in assenza di qualunque 

interlocuzione con il Governo. 

  1. – La Regione Calabria ha posto una questione pregiudiziale di 

giurisdizione e si è difesa nel merito. 

8.1. – Pregiudizialmente ha dedotto che il ricorso è volto ad 

assumere che l’ordinanza del Presidente della Regione Calabria 

invada una sfera di attribuzioni propria del Governo centrale, 

sottraendogli così la possibilità di esercizio di una propria 

prerogativa. 

La controversia assumerebbe, così, un tono costituzionale che 

attribuirebbe la giurisdizione alla Corte costituzionale, quale 

giudice dei conflitti di attribuzione ai sensi dell’art. 134 Cost. 

8.2. – Nel merito, l’ordinanza impugnata troverebbe un sicuro 

fondamento nell’art. 32, comma 3 l. n. 833 del 1978 e sarebbe 

pienamente informata ai principi di adeguatezza e proporzionalità 

espressamente richiamati dall’art. 1, comma 2 d.l. n. 19 del 2020, i 

quali richiedono di modulare i provvedimenti volti al contrasto 

dell’epidemia al rischio effettivamente presente su specifiche parti 

del territorio. 

Al contrario, a tali principi non si conformerebbe il d.P.C.M. del 26 

aprile 2020, che sottopone a una disciplina unitaria tutto il 

territorio nazionale, senza tener conto delle differenze fattuali. 

Peraltro lo strumento normativo utilizzato dal Governo (un 

d.P.C.M.) sarebbe palesemente inadeguato perché la Costituzione 

non prevede la delegabilità dei poteri di decretazione d’urgenza di 

cui all’art. 77 Cost. 

8.3. – Per altro verso, la regolamentazione dettata dal Presidente 

della Regione Calabria non sarebbe in contrasto con il contenuto 

del d.P.C.M. del 26 aprile 2020, essendo invece da interpretare 

quale disposizione di dettaglio della medesima, in funzione delle 

specificità della situazione epidemiologica presente nel territorio 

regionale ed in presenza di alcune “misure minime” da adottare a 

tutela della salute pubblica e del rischio di contagio. 

Il ricorso, dunque, non dovrebbe essere esaminato per difetto di 

interesse. 

8.4. – Infine, l’ordinanza sarebbe supportata da un impianto 

motivazionale sufficiente, nel quale si dà atto che l’analisi dei dati 

prodotta dal Dipartimento Tutela della Salute e Politiche Sanitarie 

della Regione Calabria ha fatto rilevare, alla data del 27 aprile 

2020, un valore del Rapporto di replicazione (Rt) con daily time 

lag a 5 giorni, pari a 0,63; in generale, valori inferiori ad 1 

indicano che la diffusione dell’infezione procede verso la 

regressione. 

  1. – Gli interventori hanno arricchito il giudizio con le loro 

deduzioni. 

9.1. – Il Comune di Reggio Calabria, invero, ha inteso condividere 

in tutto i contenuti del ricorso presentato dalla Presidenza del 

Consiglio dei Ministri. 

9.2. – Il Comune di Amendolara ha aderito all’eccezione di difetto 

di giurisdizione di questo giudice amministrativo in favore della 

Corte costituzionale e ha affermato l’infondatezza dei motivi di 

ricorso. 

Ha aggiunto che il d.l. n.19 del 2020, al quale non sarebbe aderente 

l’ordinanza del Presidente della Regione, sarebbe in contrasto con 

gli artt. 77, 13, 14, 15, 16, 17 e 41, 117, co. 3 e 120, co. 2, Cost. 

Partendo dal presupposto che l’ordinamento costituzionale italiano 

non prevede lo “stato di emergenza”, la normativa in questione 

sarebbe in contrasto con gli artt. 77, 13, 14, 15, 16, 17 e 41 Cost. in 

quanto demanderebbe al Presidente del Consiglio dei Ministri il 

potere di limitare le libertà garantite dalla Costituzione. 

Peraltro, si tratterebbe di normativa non essenziale per affrontare 

l’attuale stato di emergenza, in quanto nell’ordinamento sono 

contemplate diverse ipotesi in cui è consentita l’emanazione di 

ordinanze contingibili e urgenti per affrontare situazioni urgenti. 

Sotto altro profilo, il d.l. n.19 del 2020 priverebbe le Regioni della 

potestà normativa concorrente in materia di salute, prevista 

dall’art. 117 Cost. e rappresenterebbe esercizio di potere sostitutivo 

da parte dello Stato non previsto dall’art. 120 Cost. 

9.3. – Il Comune di Tropea ha aderito anch’esso all’eccezione 

pregiudiziale di difetto di giurisdizione. 

Ha poi eccepito l’illegittimità costituzionale del d.l. n. 19 del 2020, 

che rappresenterebbe un indebito esercizio di potere sostitutivo da 

parte dello Stato in violazione degli artt. 117, comma 5 e 120 Cost., 

e una violazione dei principi di sussidiarietà e leale cooperazione. 

Nel merito, l’ordinanza sarebbe giustificata dall’art. 32, comma 3 l. 

  1. 833 del 1978 e sarebbe coerente con i principi di adeguatezza e 

proporzionalità, violati invece dalla decisione del Governo di 

predisporre una disciplina unitaria per tutto il territorio nazionale. 

L’ordinanza avrebbe alla base l’analisi dei dati epidemiologici 

regionali e, a ben guardare, nemmeno si porrebbe in contrasto con 

il d.P.C.M. del 26 aprile 2020, di cui è mera specificazione. 

9.4. – CODACONS ha argomentato nel senso che la lite, 

qualificabile in termini di conflitto di attribuzioni, sarebbe devoluta 

ai sensi dell’art. 134 Cost. alla giurisdizione della Corte 

costituzionale, cui ha chiesto di trasmettere gli atti. 

9.5. – Gli operatori della ristorazione, infine, si sono qualificati in 

termini di controinteressati e, costituitisi ai sensi dell’art. 28, 

comma 1, hanno domandato il differimento dell’udienza camerale 

con assegnazione di termini per poter esercitare correttamente i 

proprio diritto di difesa. 

Nel merito, hanno aderito alle tesi difensive della Regione 

Calabria. 

9.6. – Va infine notato che la Regione Calabria, nella memoria 

depositata in data 9 maggio 2020, ha lamentato di non aver potuto 

prendere posizione sui numerosi interventi che si sono succeduti e 

ha invitato il Tribunale a valutare se, rispetto a tale vulnus al diritto 

di difesa, si rendesse necessario o anche solo opportuno, un 

differimento della Camera di consiglio. 

III – Le questioni pregiudiziali e preliminari 

III.1. – La questione di giurisdizione 

  1. – È opinione del Tribunale di essere dotato di giurisdizione sul 

ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. 

Tale conclusione si basa su tre, concatenate osservazioni. 

10.1. – È innegabile che il provvedimento emanato dal Presidente 

della Regione Calabria abbia natura di ordinanza contingibile e 

urgente in materia di igiene e sanità, nel quadro della disciplina 

dettata dall’art. 32 l. n. 833 del 1978. 

Si tratta, dunque, di esercizio di potere amministrativo, sul quale il 

sindacato giurisdizionale è naturalmente attribuito al giudice della 

funzione pubblica, cioè il giudice amministrativo. 

10.2. – Il fatto che le ragioni di illegittimità dedotte da parte 

ricorrente siano inerenti anche ai confini delle attribuzioni 

assegnate ai diversi poteri dello Stato non è sufficiente ad attribuire 

alla controversia un tono costituzionale. 

In proposito, si richiama la costante giurisprudenza della Corte 

costituzionale, secondo la quale il tono costituzionale del conflitto 

sussiste quando il ricorrente non lamenti una lesione qualsiasi, ma 

una lesione delle proprie attribuzioni costituzionali (ex plurimis

Corte cost. 14 febbraio 2020; Id. 14 febbraio 2018, n. 28; Id. 15 

maggio 2015, n. 87; Id. 28 marzo 2013, n. 52). 

È stato, in particolare, chiarito (da Corte cost. 29 ottobre 2019, n. 

224) che non basta che nella materia in questione vengano in gioco 

competenze e attribuzioni previste dalla Costituzione, perché la 

controversia assuma un tono costituzionale. La natura 

costituzionale delle competenze, infatti, così come il potere 

discrezionale che ne connota i relativi atti di esercizio, non esclude 

la sindacabilità nelle ordinarie sedi giurisdizionali degli stessi atti, 

quando essi trovano un limite «nei principi di natura giuridica 

posti dall’ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a 

livello legislativo» (Corte cost. 5 aprile 2012, n. 81 del 2012). 

Ebbene, il ricorso con il quale è stato innescato il sindacato 

giurisdizionale da parte di questo Tribunale Amministrativo 

Regionale fa valere la dedotta violazione, da parte del Presidente 

della Regione Calabria, dei limiti che dalla legge, e in particolare 

dal d.l. 25 marzo 2020, n. 19, derivano all’esercizio delle 

competenze in materia di igiene e sanità spettanti al Presidente 

della Regione Calabria. 

In questa prospettiva, l’atto è giustiziabile d’innanzi al giudice 

della funzione pubblica, giacché questo giudice non è chiamato a 

regolare il conflitto sulle attribuzioni costituzionali tra gli Enti 

coinvolti nella controversia, ma solo a valutare la legittimità, 

secondo i parametri legislativi indicati nei motivi di ricorso, 

dell’atto impugnato. 

10.3. – In ogni caso, se pure si opinasse che nel caso di specie 

fosse attivabile, da parte della Presidenza del Consiglio dei 

Ministri, il conflitto di attribuzione d’innanzi alla Corte 

costituzionale, ciò non esclude che sia legittimamente esperibile 

anche la via del ricorso d’innanzi al giudice amministrativo. 

Secondo il costante insegnamento delle Sezioni Unite della Corte 

di Cassazione (cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 19 luglio 2013, n. 17656; 

in precedenza, Id. 20 maggio 1978, n. 2492; Id. 28 maggio 1977, n. 

2184; Id. 13 dicembre 1973, n. 3379; Id. 10 novembre 1973, n. 

2966), infatti, vi è diversità di struttura e finalità fra il giudizio per 

conflitto di attribuzione tra Stato e Regione ed il sindacato 

giurisdizionale davanti al giudice amministrativo: il primo è 

finalizzato a restaurare l’assetto complessivo dei rispettivi ambiti di 

competenza degli Enti in conflitto; il secondo, viceversa, si svolge 

sul piano oggettivo di verifica di legalità dell’azione 

amministrativa, con l’esclusivo scopo della puntuale repressione 

dell’atto illegittimo. Ciò comporta la possibilità della loro 

simultanea proposizione, sicché deve escludersi che in tali ipotesi 

sussista difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. 

Anche il Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27 dicembre 

2011, n. 6834), dal canto suo, ha affermato che il soggetto 

legittimato ad impugnare l’atto autoritativo dinanzi al giudice 

amministrativo può valutare se sussistono i presupposti per 

sollevare un conflitto di attribuzione, ovvero se avvalersi del 

rimedio di carattere generale della giurisdizione generale di 

legittimità. Tale conclusione risulta corroborata dalla 

considerazione per cui, mentre la Corte costituzionale può decidere 

le censure attinenti al riparto delle attribuzioni, il giudice 

amministrativo, ai sensi dell’art. 113 Cost., può decidere su ogni 

profilo di illegittimità dell’atto, anche su dedotti aspetti di eccesso 

di potere, sicché, anche per esigenze di concentrazione, l’Ente in 

conflitto ben può scegliere se, anziché proporre due giudizi e 

devolvere alla Corte costituzionale l’esame dei profili 

sul difetto di attribuzione, sia il caso di proporre un solo ricorso al 

giudice amministrativo, deducendo tutti i possibili motivi di 

illegittimità dell’atto. 

III.2 – Le condizioni dell’azione 

  1. – Benché la Regione Calabria non abbia contestato la 

legittimazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri a 

ricorrere nel caso di specie al giudice amministrativo, la verifica 

delle sussistenza di tale condizione dell’azione deve essere operata 

d’ufficio. 

11.1. – Il Tribunale ritiene, dunque, di dover esplicitare che sussiste 

la legittimazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri a 

impugnare un’ordinanza ex art. 32, comma 3 l. n. 833 del 1978 del 

Presidente di una Regione in virtù delle funzioni ad essa attribuite 

con riferimento al rapporto tra il Governo e le Autonomie di cui la 

Repubblica si compone. 

11.2. – Limitando l’esame ai rapporti tra Stato, Regioni e Province 

autonome, e senza alcuna pretesa di esaustività, si rileva che spetta 

al Presidente del Consiglio dei Ministri il compito di promuovere e 

coordinare “l’azione del Governo per quanto attiene ai rapporti 

con le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano” (art. 

5, comma 3, lett. b) l. 23 agosto 1988, n. 400), nonché di 

promuovere lo sviluppo della collaborazione tra Stato, Regioni e 

Autonomie locali (art. 4 d.lgs. 30 luglio 1999, n. 303). 

Per svolgere tali funzioni, il Presidente si avvale della Presidenza 

del Consiglio dei Ministri (art. 2, comma 2, lett. d) d.lgs. n. 303 del 

1999), presso la quale è istituito un Dipartimento per gli Affari 

regionali (art. 4, comma 2 d.lgs. n. 303 del 1999). 

Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri è costituita la 

Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le 

Province autonome, che dal Presidente del Consiglio è presieduta e 

che deve essere consultata sui criteri generali relativi all’esercizio 

delle funzioni statali di indirizzo e di coordinamento inerenti ai 

rapporti tra lo Stato, le Regioni, le Province autonome e gli enti 

infraregionali (art. 12 l. n. 400 del 1988). 

Spetta, infine, al Presidente del Consiglio dei Ministri “promuove 

le iniziative necessarie per l’ordinato svolgimento dei rapporti tra 

Stato, regioni e autonomie locali ed assicura l’esercizio coerente e 

coordinato dei poteri e dei rimedi previsti per i casi di inerzia e di 

inadempienza” (art. 4, comma 1 d.lgs. n. 303 del 1999). 

11.3. – In sintesi, la Presidenza del Consiglio dei Ministri 

costituisce il fulcro del necessario coordinamento dell’attività 

amministrativa posta in essere dallo Stato e dalle Autonomie di cui 

la Repubblica si compone. 

In altri termini, in capo ad essa si sintetizzano i vari interessi alla 

cura dei quali le amministrazioni pubbliche, statali, regionali e 

locali, sono preposte. 

Alla Presidenza del Consiglio dei Ministri è attribuito il compito di 

assicurare l’esercizio coerente e coordinato dei poteri 

amministrativi; cosicché è logica conseguenza ritenere che ad essa 

sia assegnato dall’ordinamento anche il potere di agire 

giudizialmente, in alternativa all’esercizio delle funzioni di 

controllo e sostitutive previsti dalla Costituzione, laddove 

l’esercizio dei poteri amministrativi avvenga in maniera 

disarmonica o addirittura antitetica. 

  1. – Sussiste anche l’altra condizione dell’azione, invero messa in 

dubbio dalla difesa della Regione Calabria, e cioè l’interesse ad 

agire. 

In effetti, allo stato risultano in vigore sia l’ordinanza del 

Presidente della Regione Calabria oggetto di impugnativa, sia il 

d.P.C.M. del 26 aprile 2020. 

Benché sia stato negato in giudizio che il provvedimento regionale 

sia in contrasto con il d.P.C.M., di cui costituirebbe invece mera 

specificazione, osserva il Tribunale che il provvedimento 

impugnato ammette una nuova e diversa eccezione alla 

sospensione delle attività dei servizi di ristorazione. Dunque, 

l’ordinanza impugnata ha un contenuto parzialmente difforme dal 

d.P.C.M., rispetto al quale si pone in posizione di antinomia. 

Sicché, essendo effettivo ed attuale il contrasto tra i due 

provvedimenti, sussiste l’interesse all’odierna decisione. 

III.3. – Sui controinteressati, gli interventori e la loro posizione 

processuale 

  1. – La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha, in via 

prudenziale, notificato il ricorso a un potenziale controinteressato, 

identificato in un imprenditore titolare di un esercizio di 

ristorazione, il quale non si è costituito in giudizio. 

13.1. – Tuttavia, è evidente che il provvedimento impugnato ha 

natura generale, sicché non sono individuabili controinteressati. 

Infatti, la figura del controinteressato in senso formale, peculiare 

del processo amministrativo, ricorre soltanto nel caso in cui l’atto 

sul quale è richiesto il controllo giurisdizionale di legittimità si 

riferisca direttamente ed immediatamente a soggetti, singolarmente 

individuabili, i quali per effetto di detto atto abbiano già acquistato 

una posizione giuridica di vantaggio; per definizione, tale figura 

non è ravvisabile nei riguardi dell’atto generale, atteso che esso non 

riguarda specifici destinatari, che sia a priori che a posteriori non 

sono individuabili (cfr., per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 15 dicembre 

2014, n. 6153). 

Poiché, dunque, nel caso di specie il terzo destinatario della 

notifica è sostanzialmente estraneo alla presente controversia, la 

sua mancata costituzione non impedisce la definizione del giudizio. 

13.2. – Le medesime considerazioni valgono con riferimento 

all’intervento degli operatori del settore della ristorazione. 

A fronte di un atto amministrativo generale, essi non rivestono 

ruolo di controinteressati, e il loro intervento, da riqualificare in 

termini di intervento adesivo ai sensi dell’art. 28, comma 2 c.p.a., 

non comporta alcuna specifica necessità di salvaguardia dei diritti 

della difesa, giacché, come infra sarà ricordato, essi debbono 

accettare lo stato e il grado in cui si trova il giudizio. 

  1. – Occorre dunque occuparsi degli interventi adesivi spiegati, 

onde verificarne l’ammissibilità. 

14.1. – L’art. 28, comma 2 c.p.a. stabilisce che chiunque non sia 

parte del giudizio e non sia decaduto dall’esercizio delle relative 

azioni, ma vi abbia interesse, può intervenire accettando lo stato e 

il grado in cui il giudizio si trova. 

In via generale, si deve osservare che tale norma recepisce una 

consolidata tradizione pretoria, per cui l’intervento in giudizio va 

riconosciuto ammissibile anche in presenza di un interesse di mero 

fatto, dipendente o riflesso rispetto a quello delle parti. 

Gli intervenienti, tuttavia, sono tenuti a chiarire nell’atto di 

intervento e a dimostrare quale sia l’interesse che intendono 

tutelare (cfr. CGA 3 gennaio 2017, n. 1). 

14.2. – Quanto all’intervento ad adiuvandum, è ammesso dalla 

giurisprudenza più recente anche da parte del cointeressato, purché 

non sia decaduto dall’esercizio delle relative azioni e vi abbia 

interesse, senza tuttavia potere ampliare il thema decidendum

l’intervento del cointeressato è, quindi, ammesso nei limiti della 

domanda già proposta, in conformità allo strumento azionato, il 

quale comporta per l’interveniente di accettare, ex art. 28 comma 2, 

c.p.a . lo stato e il grado in cui il giudizio si trova (Cons. Stato, Sez. 

V, 30 ottobre 2017, n. 4973; cfr. anche TAR Campania – Napoli, 

Sez. III, 14 gennaio 2019 , n. 201). 

14.3. – Alla stregua di tali criteri, si deve ritenere ammissibile 

l’intervento degli Enti locali e degli operatori del settore della 

ristorazione. 

Quanto al Comune di Reggio Calabria, intervenuto ad 

adiuvandum, esso ha espressamente dedotto che l’ordinanza di cui 

si discorre incide in maniera grave sul diritto alla salute dei 

cittadini di cui è Ente esponenziale e che l’auspicato accoglimento 

del ricorso comporterà un indiretto ma rilevante vantaggio nei 

confronti del Comune di Reggio Calabria. Tanto più che il Sindaco 

del Comune ha adottato in data 30 aprile 2020 l’ordinanza 

contingibile e urgente n. 44 con cui ha disposto l’applicazione, sul 

territorio comunale, esclusivamente delle misure adottate dal 

Governo. 

Anche il Comune di Tropea, intervenuto ad opponendum, ha 

illustrato gli interessi che hanno animato la sua iniziativa 

processuale, sebbene questi si pongano in una prospettiva ribaltata 

rispetto al Comune di Reggio Calabria. Infatti, il territorio su cui è 

costituito l’Ente ha forte vocazione turistica, sicché la chiusura 

forzata degli operatori della ristorazione per attenuare i contagi da 

COVID-19 ha avuto effetti devastanti sull’intero comparto 

economico, essendo state azzerate le presenze turistiche per i mesi 

di aprile e maggio. La conservazione del provvedimento 

impugnato rappresenta, in questo contesto, un vantaggio per la 

comunità di cui il Comune di Tropea è ente esponenziale, 

consentendo di riavviare le attività imprenditoriali. 

Le medesime considerazioni valgono per il Comune di 

Amendolara. 

L’interesse fattuale degli operatori della ristorazione alla 

conservazione dell’ordinanza regionale impugnata è, dal canto suo, 

evidentemente individuabile nella possibilità di riprendere le 

attività imprenditoriali. 

14.4. – Al contrario, è inammissibile l’intervento del CODACONS 

– Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela 

dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori. 

In effetti, esso ha depositato in giudizio il proprio Statuto, da cui si 

evince che persegue il fine di «tutelare con ogni mezzo legittimo, 

ivi compreso il ricorso allo strumento giudiziario, i diritti e gli 

interessi dei consumatori ed utenti […] tale tutela si realizza nei 

confronti dei soggetti pubblici e privati, produttori e/o erogatori di 

beni e servizi, anche al fine di contribuire ad eliminare le 

distorsioni del mercato determinate dalla commissione di abusi e 

di altre fattispecie di reati contro la P.A.»

Ma non ha specificato quale interesse, sussistente in modo 

omogeneo in capo agli associati, l’intervento è inteso a tutelare. 

  1. – Va infine esaminata la sollecitazione della difesa della 

Regione Calabria affinché il Tribunale differisca l’udienza 

camerale allo scopo di consentirle di prendere posizione sugli atti 

di intervento. 

Ebbene, poiché gli interventi spiegati, siano essi ad adiuvandum

ad opponendum, non hanno condotto a un ampliamento 

dell’oggetto del giudizio, in nessuno dei suoi aspetti, in quanto un 

simile ampliamento è vietato dall’ordinamento processuale, non 

sussiste alcuna lesione del diritto di difesa dell’amministrazione 

regionale, che ha avuto modo di argomentare su ciascuno dei 

motivi di ricorso proposti dalla Presidenza del Consigli dei 

Ministri. 

IV – Esame dei motivi di ricorso 

  1. – Si può finalmente passare all’esame dei motivi di ricorso. 

Nondimeno, il forte interesse che nell’opinione pubblica ha 

suscitato l’odierno giudizio giustifica alcune sintetiche 

considerazioni di carattere generale. 

Non è compito del giudice amministrativo sostituirsi alle 

amministrazioni e, dunque, stabilire quale contenuto debbano 

avere, all’esito del bilanciamento tra i molteplici interessi pubblici 

o privati in gioco, i provvedimenti amministrativi. 

Tale principio, valido in via generale, è da affermare ancora con 

più forza quando, come nel caso di specie, il provvedimento 

amministrativo oggetto di sindacato sia stato adottato dal vertice 

politico-amministrativo, dotato di legittimazione democratica in 

quanto eletto a suffragio universale, di una delle Autonomie da cui 

la Repubblica è formata; e ad impugnarlo sia l’organo di vertice 

del potere esecutivo, anch’esso dotato di legittimazione 

democratica in quanto sostenuto dalla fiducia delle Camere. 

In questa prospettiva, l’operato dell’Autorità giurisdizionale, in 

questo caso del giudice amministrativo quale giudice naturale della 

funzione pubblica, è meramente tecnica, e finalizzata a verificare la 

conformità del provvedimento oggetto di attenzione al modello 

legale. 

  1. – Si è già accennato al § 7.1. al contenuto del d.l. n. 19 del 

L’art. 1 prevede, per quel che in questa sede rileva, che, allo scopo 

di contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione 

del virus COVID-19, su specifiche parti del territorio nazionale 

ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, possono essere adottate 

una o più misure che, secondo principi di adeguatezza e 

proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche 

parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso, possono 

prevedere, tra l’altro, la limitazione o sospensione delle attività di 

somministrazione al pubblico di bevande e alimenti, nonché di 

consumo sul posto di alimenti e bevande, compresi bar e ristoranti. 

Il successivo art. 2, comma 1, attribuisce al Presidente del 

Consiglio dei Ministri il potere di emanare, con d.P.C.M., tali 

misure. 

L’art. 3, comma 1 consente alle Regioni di adottare misure di 

efficacia locale «nell’ambito delle attività di loro competenza e 

senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza 

strategica per l’economia nazionale». Ma ciò è possibile solo a 

condizione che si tratti di interventi destinati a operare nelle more 

dell’adozione di un nuovo d.P.C.M.; che si tratti di interventi 

giustificati da «situazioni sopravvenute di aggravamento del 

rischio sanitario» proprie della Regione interessata; che si tratti di 

misure «ulteriormente restrittive» delle attività sociali e produttive 

esercitabili nella Regione. 

Il comma 3 dell’art 3, infine, precisa che «le disposizioni di cui al 

presente articolo si applicano altresì agli atti posti in essere per 

ragioni di sanità in forza di poteri attribuiti da ogni disposizione di 

legge previgente»

  1. – Il Tribunale ritiene che non ci siano gli estremi per 

sospendere il giudizio e sollevare d’innanzi alla Corte 

costituzionale questione di legittimità del decreto legge il cui 

contenuto è stato illustrato. 

18.1. – Innanzitutto, va ricordato che l’odierna controversia 

riguarda esclusivamente la possibilità di svolgere, dal 4 maggio 

2020 al 17 maggio 2020, l’attività di ristorazione con servizio al 

tavolo. 

In proposito, si osserva che l’art. 41 Cost., nel riconoscere libertà 

di iniziativa economica, prevede che essa non possa svolgersi in 

modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità 

umana. 

Come noto, non è prevista una riserva di legge in ordine alle 

prescrizioni da imporre all’imprenditore allo scopo di assicurare 

che l’iniziativa economica non sia di pregiudizio per la salute 

pubblica, sicché tali prescrizioni possono essere imposte anche con 

un atto di natura amministrativa. 

Non si coglie dunque un contrasto, in particolare nell’attuale 

situazione di emergenza sanitaria, tra la citata norma costituzionale 

e una disposizione legislativa che demandi al Presidente del 

Consiglio dei Ministri di disporre, con provvedimento 

amministrativo, limitazione o sospensione delle attività di 

somministrazione al pubblico di bevande e alimenti, nonché di 

consumo sul posto di alimenti e bevande, compresi bar e ristoranti, 

allo scopo di affrontare l’emergenza sanitaria dovuta alla 

diffusione del virus COVID-19. 

Tanto più che, come rivela l’esame dell’art. 1 del d.l. n. 19 del 

2020, il contenuto del provvedimento risulta predeterminato 

(«limitazione o sospensione delle attività di somministrazione al 

pubblico di bevande e alimenti, nonché di consumo sul posto di 

alimenti e bevande (…)»), mentre alla discrezionalità dell’Autorità 

amministrativa è demandato di individuare l’ampiezza della 

limitazione in ragione dell’esame epidemiologico. 

18.2. – Non vi può essere dubbio che lo Stato rinvenga la 

competenza legislativa all’adozione del decreto de quo innanzitutto 

nell’art. 117, comma 2, lett. q) Cost., che gli attribuisce 

competenza esclusiva in materia di «profilassi internazionale»

Ma la competenza legislativa si rinviene anche nel terzo comma 

del medesimo art. 117 Cost., che attribuisce allo Stato competenza 

concorrente in materia di «tutela della salute» e «protezione 

civile»

18.3. – A tale ultimo proposito, occorrono alcune ulteriori 

osservazioni, che traggono le mosse dal duplice rilievo critico 

secondo cui l’impianto normativo delineato dal d.l. n. 19 del 2020 

comporterebbe un’inammissibile delega al Presidente del 

Consiglio dei Ministri del potere di restringere le libertà 

costituzionali dei cittadini e comporterebbe un’alterazione alla 

ripartizione dei compiti amministrativi delineata dall’art. 118 Cost. 

Limitando, per evidenti ragioni, il campo dell’analisi alla sola 

possibilità di limitare o sospendere le attività di somministrazione 

al pubblico di cibi e bevande, il Tribunale ritiene di dover 

innanzitutto ribadire quanto già anticipato al § 18.1., e cioè che è la 

legge a predeterminare il contenuto della restrizione alla libertà di 

iniziativa economica, demandando ad un atto amministrativo la 

commisurazione dell’estensione di tale limitazione. 

Ciò posto, il fatto che la legge abbia attribuito al Presidente del 

Consiglio dei Ministri il potere di individuare in concreto le misure 

necessarie ad affrontare un’emergenza sanitaria trova 

giustificazione nell’art. 118, comma 1 Cost.: il principio di 

sussidiarietà impone che, trattandosi di emergenza a carattere 

internazionale, l’individuazione delle misure precauzionali sia 

operata al livello amministrativo unitario. 

18.4. – Ma, una volta accertato che l’individuazione nel Presidente 

del Consiglio dei Ministri dell’Autorità che deve individuare le 

specifiche misure necessarie per affrontare l’emergenza è 

conforme al principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost., deve 

altresì essere affermato che ciò giustifica l’attrazione in capo allo 

Stato della competenza legislativa, pur in materie concorrenti quali 

la «tutela della salute» e la «protezione civile»

È noto, infatti, che la Corte costituzionale ha ritenuto (sin dalla 

sentenza dell’1 ottobre 2003, n. 303, con cui ha per la prima volta 

teorizzato la c.d. chiamata in sussidiarietà) che l’avocazione della 

funzione amministrativa si deve accompagnare all’attrazione della 

competenza legislativa necessaria alla sua disciplina, onde 

rispettare il principio di legalità dell’azione amministrativa, purché 

all’intervento legislativo per esigenze unitarie si accompagnino 

forme di leale collaborazione tra Stato e Regioni nel momento 

dell’esercizio della funzione amministrativa (cfr., sul punto, Corte 

cost. 22 luglio 2010, n. 278). 

Nel caso di specie, conformemente al principio enucleato dalla 

Corte costituzionale, l’art. 2 d.l. n. 19 del 2020 prevede 

espressamente che il Presidente del Consiglio dei Ministri adotti i 

decreti sentiti – anche – i Presidenti delle Regioni interessate, nel 

caso in cui riguardino esclusivamente una regione o alcune 

specifiche regioni, ovvero il Presidente della Conferenza delle 

Regioni e delle Province autonome, nel caso in cui riguardino 

l’intero territorio nazionale. 

18.5. – Quanto illustrato ai §§ che precedono esclude che si possa 

affermare che nel caso di specie siano stati attribuiti 

all’amministrazione centrale dello Stato poteri sostituitivi non 

previsti dalla Costituzione. 

L’art. 120, comma 2 Cost., invero, prevede che «il Governo può 

sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle 

Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e 

trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di 

pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero 

quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità 

economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle 

prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai 

confini territoriali dei governi locali»

In tali casi deve essere seguita la procedura prevista dall’art. 8 l. 5 

giugno 2003, n. 131. 

Ma, come supra specificato, nel caso di specie non vi è stato un 

intervento sostitutivo dello Stato, bensì avocazione delle funzioni 

amministrative in ragione del principio di sussidiarietà, 

accompagnata dalla chiamata in sussidiarietà della funzione 

legislativa. 

18.6. – Va conclusivamente affermato che le questioni di 

legittimità costituzionale del d.l. n. 19 del 2020 sollevate appaiono 

manifestamente infondate, onde non occorre rimetterle alla Corte 

costituzionale. 

  1. – Il d.P.C.M. 26 aprile 2020, dal canto suo, non è un atto a 

carattere normativo, bensì un atto amministrativo generale. 

Esso non può essere oggetto di disapplicazione da parte del giudice 

amministrativo, essendo piuttosto onere del soggetto interessato 

promuovere tempestivamente l’azione di annullamento. 

  1. – Giunti a questo punto, emerge chiaramente l’illegittimità 

dell’ordinanza del Presidente della Regione Calabria denunciata 

con il primo motivo di ricorso. 

Spetta infatti al Presidente del Consiglio dei Ministri individuare le 

misure necessarie a contrastare la diffusione del virus COVID-19, 

mentre alle Regioni è dato intervenire solo nei limiti delineati 

dall’art. 3, comma 1 d.l. n. 19 del 2020, che però nel caso di specie 

è indiscusso che non risultino integrati. 

Né l’ordinanza di cui si discute potrebbe trovare un fondamento 

nell’art. 32 l. n. 833 del 1978. 

Infatti, come correttamente messo in evidenza dall’Avvocatura 

dello Stato, i limiti al potere di ordinanza del Presidente della 

Regione delineati dall’art. 3, comma 1 d.l. n. 19 del 2020 valgono, 

ai sensi del successivo terzo comma, per tutti gli «atti posti in 

essere per ragioni di sanità in forza di poteri attribuiti da ogni 

disposizione di legge previgente»

  1. – È fondato, nei limiti di seguito specificati, anche il secondo 

motivo di ricorso. 

Invero, l’ordinanza regionale motiva la nuova deroga alla 

sospensione dell’attività di ristorazione, mediante l’autorizzazione 

al servizio al tavolo, con il mero riferimento del rilevato valore di 

replicazione del virus COVID-19, che sarebbe stato misurato in un 

livello tale da indicare una regressione dell’epidemia. 

È però ormai fatto notorio che il rischio epidemiologico non 

dipende soltanto dal valore attuale di replicazione del virus in un 

territorio circoscritto quale quello della Regione Calabria, ma 

anche da altri elementi, quali l’efficienza e capacità di risposta del 

sistema sanitario regionale, nonché l’incidenza che sulla diffusione 

del virus producono le misure di contenimento via via adottate o 

revocate (si pensi, in proposito, alla diminuzione delle limitazioni 

alla circolazione extraregionale). 

Non a caso, le restrizioni dovute alla necessità di contenere 

l’epidemia sono state adottate, e vengono in questa seconda fase 

rimosse, gradualmente, in modo che si possa misurare, di volta in 

volta, la curvatura assunta dall’epidemia in conseguenza delle 

variazioni nella misura delle interazioni sociali. 

Un tale modus operandi appare senza dubbio coerente con il 

principio di precauzione, che deve guidare l’operato dei poteri 

pubblici in un contesto di emergenza sanitaria quale quello in atto, 

dovuta alla circolazione di un virus, sul cui comportamento non 

esistono certezze nella stessa comunità scientifica. 

Si badi, che detto principio, per cui ogni qual volta non siano 

conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente 

pericolosa, l’azione dei pubblici poteri debba tradursi in una 

prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze 

scientifiche (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 3 ottobre 2019, n. 6655), 

deve necessariamente presidiare un ambito così delicato per la 

salute di ogni cittadino come è quello della prevenzione (Corte 

cost. 18 gennaio 2018, n. 5). 

È chiaro che, in un simile contesto, ogni iniziativa volta a 

modificare le misure di contrasto all’epidemia non possono che 

essere frutto di un’istruttoria articolata, che nel caso di specie non 

sussiste. 

  1. – Va infine rilevata la fondatezza anche dell’ultimo motivo di 

ricorso. 

Sul punto, occorre ricordare come la violazione del principio di 

leale collaborazione costituisca elemento sintomatico del vizio 

dell’eccesso di potere (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 14 dicembre 

2001, n. 9). 

Nel caso di specie, non risulta che l’emanazione dell’ordinanza 

oggetto di impugnativa sia stata preceduta da qualsivoglia forma di 

intesa, consultazione o anche solo informazione nei confronti del 

Governo. 

Anzi, il contrasto nei contenuti tra l’ordinanza regionale e il 

d.P.C.M. 26 aprile 2020 denota un evidente difetto di 

coordinamento tra i due diversi livelli amministrativi, e dunque la 

violazione da parte della Regione Calabria del dovere di leale 

collaborazione tra i vari soggetti che compongono la Repubblica, 

principio fondamentale nell’assetto di competenze del titolo V 

della Costituzione. 

  1. – In conclusione, per tutte le ragioni esposte l’ordinanza, nella 

parte oggetto di impugnativa, deve essere annullata. 

La novità, la complessità, la delicatezza della tematiche trattate 

giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese e 

competenze di lite. 

P.Q.M. 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione 

Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe 

proposto: 

  1. a) dichiara inammissibile l’intervento di CODACONS – 

Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela 

dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori; 

  1. b) accoglie il ricorso e, per gli effetti, annulla l’ordinanza del 

Presidente della Regione Calabria del 29 aprile 2020, n. 37, nella 

parte in cui, al suo punto 6, dispone che, a partire dalla data di 

adozione dell’ordinanza medesima, sul territorio della Regione 

Calabria, è «consentita la ripresa delle attività di Bar, Pasticcerie, 

Ristoranti, Pizzerie, Agriturismo con somministrazione esclusiva 

attraverso il servizio con tavoli all’aperto»

  1. c) compensa tra le parti le spese e le competenze di lite. 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità 

amministrativa. 

Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 9 

maggio 2020 con l’intervento dei magistrati: 

Giancarlo Pennetti, Presidente 

Francesco Tallaro, Primo Referendario, Estensore 

Francesca Goggiamani, Referendario 

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE Francesco Tallaro Giancarlo Pennetti 

IL SEGRETARIO 

 

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